Crowdsourcing: elevata qualità del lavoro a basso costo. Questo è il risultato che il crowdsourcing può garantire alle organizzazioni non profit che desiderano risparmiare denaro, mentre svolgono la loro missione. Per “crowdsourcing” si intende la pratica di valorizzare le competenze e l’entusiasmo dei sostenitori di un’organizzazione, che sono disposti a contribuire volontariamente, con il loro tempo e le loro capacità, a risolvere i problemi dell’organizzazione stessa. La collaborazione avviene gratuitamente o a pagamento. Si tratta di un modo per esternalizzare alcune tappe della propria azione in campo sociale, utilizzando a pieno le risorse intellettuali di chi condivide i valori dell’organizzazione non profit. Allo stesso tempo, il crowdsourcing è un modo per chi propone la propria idea di sentirsi realizzato, di mettersi in mostra o di ricavare un piccolo guadagno.
Il crowdsourcing può essere utilizzato per raccogliere informazioni, chiedere consigli, risparmiare soldi o ottenere progetti. Può anche aiutare a prendere decisioni, aumentare la partecipazione e riempire di significato i contatti on line.
L’avvento dei social media ha dato un impulso forte al crowdsourcing e il mondo del non profit è da sempre in prima linea nell’uso di questo tipo di pratica. Esistono organizzazioni che basano interamente la propria strategia sul crowdsourcing, coinvolgendo i propri sostenitori o la propria rete di esperti nella fase di ideazione di nuovi progetti o nei momenti in cui si deve mettere in atto un cambiamento. Immaginiamo di voler avviare un progetto in un particolare ambito tematico o territoriale: come coinvolgere al massimo i donatori, i sostenitori on line e i volontari se non chiedendo la loro opinione tramite un sondaggio? I social networks come Facebook, Twitter (e il futuro Google+) possono essere importanti strumenti di mobilitazione delle persone attorno ad una buona causa.
Ascoltare l’opinione del sostenitore nelle fasi di cambiamento, orientando le scelte strategiche in base anche alle loro proposte, fa avvicinare le persone alla nostra mission e aumenta la ownership del donatore. Tutto ciò si può tradurre in una maggiore efficacia delle campagne di fundraising.
Negli Stati Uniti esistono strumenti on line che offrono servizi di crowdsourcing alle organizzazioni non profit, segnale che il sistema funziona. Allo stesso tempo, si assiste sempre più spesso alla diffusione di tale pratica e alla sua adozione (in modo assai consistente) da parte di piccole e medie organizzazioni del terzo settore. Un esempio clamoroso è quello di Samasource, una organizzazione non profit che, mette a disposizione servizi di crowdsourcing per clienti privati, grazie alla partecipazione di centinaia di persone che vivono in condizioni di povertà (a tutt’oggi il progetto ha coinvolto 550 persone). In tal modo è stato possibile garantire un piccolo reddito. Si tratta, effettivamente, di un modello di inclusione sociale fondato sul crowdsourcing.
Anche in Italia le cose si muovono. Un esempio descritto da molti è quello di Plain Ink, un’associazione che si occupa della realizzazione di programmi di alfabetizzazione in diversi luoghi del mondo.
Insomma, la parola d’ordine, che secondo noi non passa mai di moda, è cooperare per un mondo migliore.